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Pubblicato in 02-DIRITTO CONDOMINIALE | Lascia un commento

Il rinnovo nell’incarico dell’amministratore di condominio con pieni poteri anche se la conferma non ottiene il quorum di cui all’art. 1136 II e IV co. c.c.

Amministratore di condominio

Corte d’Appello di Venezia, sezione seconda, 14 gennaio 2015 Pres.rel. Tosatti; A. Amm R.D. sas (avv.ti Barbieri, D’Anza) c. Condominio G. (avv.ti Alvigini, Mazza)

..Omissis..

Motivi della decisione

Ed, invero, ex art.1129 comma decimo c.c., così come riformato, il rinnovo dell’amministratore è, per così dire automatico, essendo prevista la permanenza in carica dell’amministratore condominiale, per il caso in cui per qualsiasi motivo, non venga nominato altro soggetto, o non venga riconfermato l’incarico a quello attuale, con conseguente conferma dell’istituto della prorogatio”.

Pertanto, anche a riguardo al disposto dell’art.1135 c.c., oltre che alla normativa ex art.1129 c.c., si deve (…) ritenere che sia possibile ricorrere al Giudice per la nomina di un amministratore, solo qualora, il condominio sia affatto sprovvisto, con esclusione (..)[1] così dei casi come (..) comunque di un legittimo amministratore in carica (..); tanto più che per costante giurisprudenza tale istituto è destinato ad operare anche nei casi di revoca o annullamento della delibera di nomina.

 

Commento

Il rinnovo nell’incarico dell’amministratore di condominio con pieni poteri anche se la conferma non ottiene il quorum di cui all’art. 1136 II e IV co. c.c.

di Maurizio Voi

Le Corti iniziano a pronunciarsi sulle questioni di diritto condominiale all’indomani della riforma dell’ antico istituto con la legge 220/12 e siamo lieti che la nostra impostazione sulla nomina e/o conferma dell’amministratore così come novellata dal legislatore all’art. 1129 10° co. c.c., sia stata accolta della Corte d’Appello di Venezia con l’ordinanza depositata il 14.1.2015 nella causa RG: 364/2014.

La Corte lagunare ha così deciso che: “invero, ex art.1129 comma decimo c.c., così come riformato, il rinnovo dell’amministratore è, per così dire automatico, essendo prevista la permanenza in carica dell’amministratore condominiale, per il caso in cui per qualsiasi motivo, non venga nominato altro soggetto, o non venga riconfermato l’incarico a quello attuale, con conseguente conferma dell’istituto della prorogatio”.

Ritenendo, con riferimento agli art. 1135 c.c. e 1129 c.c., che sia possibile ricorre al Giudice per la nomina dell’amministratore solo qualora il condominio ne sia sprovvisto escludendosi i casi in cui comunque vi sia un legittimo amministratore in carica.

La pronuncia è da condividersi in quasi tutta la sua portata, dovendo però dissentire sul punto in cui si afferma che l’amministratore in carica che non sia stato riconfermato con la maggioranza di cui all’art. 1136 2° comma c.c. tale rimanga per il principio della “prorogatio imperi” (è questo il riferimento della Corte Veneziana quando afferma “per il caso in cui per qualsiasi motivo, non venga confermato altro soggetto”).

A nostro avviso l’art. 1129 10° co. c.c. è chiaro e se l’amministratore in carica non ottiene la nomina dalla maggioranza dei condomini presenti in assemblea che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio esso non è riconfermato, ma come afferma letteralmente la norma è: “rinnovato” e, aggiungiamo, con i pieni poteri.

Tertium non datur.

Il Problema[2].

Anche con la legge 220/2012 di riforma dell’ istituto del condominio la norma fondamentale che prevede la nomina dell’amministratore è l’articolo 1129 c.c. che però è stato novellato dagli originari quattro commi, agli attuali sedici.

La prima parte del primo capoverso del comma 10 è sostanzialmente uguale al secondo comma del vecchio testo, ora è disposto che: “L’incarico di amministratore ha durata di un anno..” mentre precedentemente l’articolo enunciava “L’amministratore dura in carica un anno..” proseguendo quest’ultimo con la possibilità di revoca in ogni tempo dall’assemblea.

Il nuovo testo, invece, prosegue disponendo che (l’incarico) “si intende rinnovato per egual durata. L’assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore”.

L’innesto del   sostantivo “incarico” appare solo nel comma dieci, mentre sia nella rubrica dell’art. 1129, nella disposizione del comma 1 n.7) dell’art. 1130 c.c. sulle nuove attribuzioni dell’amministratore di condominio e nel quarto comma dell’art. 1136 c.c. sulle maggioranze speciale è rimasta la parola “nomina”.

Dal vocabolario Treccani incarico, sostantivo maschile del verbo incaricare, è un compito un’ attività che si dà da svolgere a qualcuno: dare, affidare conferire un’incarico; un incarico delicato, di fiducia, in sostanza un mandato.

Coerente appare allora il conseguente “rinnovo” nell’incarico, cioè, sempre dal vocabolario Treccani riconferma di un incarico precedente.

Aver usato il sostantivo “incarico” parrebbe più attinente all’attività professionale dell’amministratore che è legato ai condomini ma forse oggi meglio al condominio[3], da un contratto di mandato, come ora anche esplicitamente indicato dal 15 comma dell’art. 1129 c.c.

Ma d’altro canto però l’art. 1135 c.c. attribuisce all’assemblea il potere di provvedere alla “conferma” dell’amministratore ingenerando così una non poca confusione terminologica già evidenziata dal Viganò[4] in uno studio del 2005, che peraltro dava atto che la dottrina e la giurisprudenza avevano ben risolto, senza poi il beneficio del dubbio, in relazione alla funzione, la sostanziale identità delle parole “nomina” e conferma”.

Irrompe con più forza di nuovo il problema poiché l’art. 1129 comma 10 senza nulla specificare e lasciando intatta la costruzione delle norme nel codice del 1942   sulla maggioranza della nomina (art.1136 c.c.) dispone che l’incarico di amministratore è rinnovato per egual durata (di un anno).

L’origine di tale poco chiara costruzione legislativa risiede nella iniziale approvazione dell’art. 9 del disegno di legge della riforma licenziata dal Senato della Repubblica in data 26 gennaio 2011[5] ove si legge: “L’incarico di amministratore ha durata di due anni, salvo diversa espressa deliberazione dell’assemblea, e si intende rinnovato per egual durata..” e dalla successiva modifica apportata dalla Camera dei Deputati in data 27 settembre 2012[6], che lo modifica come segue: “L’incarico di amministratore ha la durata di un anno e si intende rinnovato per egual durata.”.

Il presente lavoro cercherà di verificare se il “rinnovo” nell’incarico dopo il primo anno comporta una automatica proroga tacita senza necessità di porre all’ordine del giorno dell’assemblea la nuova nomina dell’amministratore nell’incarico e il rapporto con l’istituto della revoca e delle dimissioni[7].

La nomina e la conferma dell’amministratore condominiale nella giurisprudenza e nella dottrina. Esclusione della conferma tacita.

Nella vigenza degli ora novellati art. 1129 – 1135 c.c. la conferma nell’incarico di amministratore era considerata una nuova nomina e dunque andava deliberata dall’assemblea regolarmente costituita   con il quorum della maggioranza dei condomini presenti che rappresentavano almeno la metà del valore dell’edificio (art. 1136 4° comma c.c.)[8].

Anche per la giurisprudenza pressoché univoca per le maggioranze necessarie al fine della nomina dell’amministratore, “trova applicazione tanto nel caso di “prima nomina”, quanto in quello di “conferma” dopo la scadenza del mandato annuale” l’art. 1136 c.c.[9]

Si è sempre affermato come le delibere di nomina e conferma dell’amministratore hanno effetti giuridici eguali e differiscono soltanto nella circostanza che la conferma riguarda persona già in carica mentre la nomina riguarda persona nuova: anche per l’approvazione della deliberazione di conferma dell’amministratore è, pertanto, necessario un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio.[10]

Recentemente si è posta in contrasto con tal univoco orientamento la sentenza del Tribunale di Roma, sez.V, 15 maggio 2009 n.10701[11] secondo la quale “La maggioranza prevista dall’art.1136, 4 comma c.c. è applicabile all’ipotesi di nomina iniziale ma non a quello di conferma successiva dell’amministratore di condominio, non trattandosi di casi di identica scelta del rappresentante amministratore”.

Come già aveva lucidamente osservato il Viganò[12]: “Confermare significa “mantenere”, “rendere sicuro”, “ripetere” e dunque – con la precisazione che la parola va intesa nel suo significato corrente e non certo in quello giuridico – anche “convalidare”. I sostantivi che derivano dai due verbi esprimono, più precisamente, quanto alla nomina l’atto con il quale una persona viene designata ad una funzione, ad una carica (ed il riferimento al momento iniziale con il quale decorre l’effetto della scelta sembra in re) mentre la conferma,   definita la dichiarazione verbale o scritta, in forma ufficiale, che ribadisce una concessione, deliberazione, nomina e simile, costituisce a sua volta l’atto e l’effetto del mantenere la scelta già effettuata, in un passato vicino o remoto. Entrambi i sostantivi rappresentano insieme la valenza attiva e quella passiva del concetto: nomina e conferma possono evidenziare l’approccio valutativo di compiere l’atto corrispondente manifestando la correlativa volontà, sia la percezione di chi è scelto o mantenuto nella funzione a lui attribuita”.

Ma per il Viganò i due termini simili non sono sovrapponibili esprimendo valori e significati diversi.

Nel diritto societario, al contrario, il legislatore ha optato per un scelta diversa poiché se i primi amministratori normalmente sono nominati nell’atto costitutivo (art.2383 I comma c.c.) è chiaramente poi detto che essi scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica (II comma).

Sono rieleggibili e comunque revocabili dall’assemblea (III comma).

La loro nomina o revoca fa parte dell’attribuzione dell’assemblea ordinaria (art.2364 n.2 c.c.) .

Quanto ai quorum necessari per la nomina, in prima convocazione l’art.2368 c.c. richiede, (fatta salva la disposizione dell’atto costitutivo) la maggioranza assoluta delle azioni (su un quorum costitutivo della maggioranza del capitale sociale), mentre in seconda convocazione (art.2369 c.c.) la maggioranza qualunque sia il valore del capitale rappresentato.

E’ agevole notare come per il diritto societario e per la natura degli interessi economici in gioco, sia più facile la loro rielezione e come, comunque, essa sia sempre disposta da una delibera dell’ assemblea che è chiaramente prevista dal codice all’art.2364 c.c.

Anche nelle società per azioni la ratio del codice è quella di prevedere sempre una manifestazione di volontà assembleare nella nomina o conferma/rielezione degli amministratori – nulla opponendo ad una rielezione sempre delle stesse persone – , con la differenza che mentre per il condominio il quorum di conferma è quello per la nomina, per le società di capitali esso varia in ragione della prima o seconda convocazione. Ma ciò è espresso per legge.

Ai fini della verifica che ci siamo posti come obiettivo è poi necessario evidenziare come per la univoca giurisprudenza non è possibile configurare un rinnovo tacito nell’incarico di amministratore dovendo lo stesso avere sempre piena fiducia da parte dell’assemblea dei condomini.[13]

E’ quindi sempre necessario il passaggio assembleare per legittimare formalmente l’amministratore nelle sue piene funzioni.

La prorogatio imperii

L’ esclusione della conferma tacita dell’amministratore nell’inerzia dell’assemblea non va poi confusa con l’istituto della prorogatio imperii intesa come volontà tacita dei condomini di mantenere nell’incarico l’amministratore.

Nella giurisprudenza della Suprema Corte è frequentemente riportata la seguente massima: “In tema di condominio negli edifici, la “prorogatio imperii” dell’amministratore – che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministrazione – si applica in ogni caso in cui il condominio rimanga privo dell’opera dell’amministratore e, quindi, non solo nelle ipotesi di scadenza del termine di cui all’art. 1129, secondo comma, cod. civ. o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della delibera di nomina[14].

Invero come risulta dalle motivazione della sentenza 4531 del 27 marzo 2003 della Corte di cassazione, l’istituto della prorogatio imperii è fondato non solo “sulla presunzione di conformità della prorogatio alla volontà dei condomini” ma anche sull’interesse del condominio alla continuità dell’amministratore e rileva la sua utilità anche nei casi di dimissioni e revoca o annullamento per illegittimità della delibera di nomina.

L’istituto tende così a sopperire ad una temporaneamente mancanza di valida espressione dell’ assemblea sulla conferma o nomina del nuovo amministratore al fine di non privare il condominio della rappresentanza dei suoi interessi verso i terzi e nello stesso tempo, assicurare i terzi sul potere di rappresentanza ex lege dell’amministratore attualmente in quella funzione[15].

Se così non fosse i terzi che volessero proseguire una lite o iniziare un giudizio contro i condomini dovrebbero provvedere alla nomina del curatore speciale ex art.65 disp. att. c.c.

Le massime della giurisprudenza vanno quindi interpretate nel senso che la “presunzione di conformità alla volontà dei condomini” è collegate all’interesse che il legislatore ha che il condominio non rimanga privo del suo rappresentante e non a se stante tanto da legittimare una proroga tacita.

La prorogatio è sempre collegata ad una manifestazione di volontà dell’assemblea seppur non supportata da una valida delibera.

Il rinnovo nell’incarico ad amministrare il condominio.

Per il fine della nostra indagine è necessario ripercorrere, seppur sinteticamente la costruzione teorica di condominio che negli anni si è via via consolidata grazie ad importanti interventi della Corte di cassazione[16] e della nuova dottrina[17] più autorevole, tra i quali, Nunzio Izzo[18] a cui questo convegno è oggi dedicato in suo onore.

La specificità del condominio.

Con la sentenza 2046/06 la Corte di Cassazione aveva chiarito come: “L’espressione “condominio” designa il diritto soggettivo di natura reale (la proprietà comune) concernente le parti dell’edificio di uso comune e, ad un tempo, l’organizzazione del gruppo dei condomini, composta essenzialmente dalle figure dell’assemblea e dell’amministratore: organizzazione finalizzata alla gestione delle cose, degli impianti e dei servizi.

La specifica fisionomia giuridica del condominio negli edifici – la tipicità, che distingue l’istituto dalla comunione di proprietà in generale e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo – si fonda sulla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti, dei quali i beni formano oggetto (la proprietà esclusiva e il condominio). Le norme dettate dagli artt. 1117, 1139 cod. civ. si applicano all’edificio, nel quale più piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse e un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune sono legati alle unità abitative dalla relazione di accessorietà”.

Per Nunzio Izzo il condominio è “un micro sistema connotato da ontologiche deviazioni dalla normativa ordinaria – con un’ applicazione residuale di mera gestione delle parti comuni dell’edificio legate da un vincolo di accessorietà materiale e funzionale alle proprietà esclusive site nell’edificio stesso essendo la giuridica e il patrimonio conservati in capo ai condomini che restano titolari delle stesse cose comuni cui accedono pro quota”.

Il condominio allora si può comprendere come un sistema di norme con le loro regole: sistema dei rapporti tra proprietà esclusive e comuni; sistema dell’amministratore; sistema dell’assemblea[19].

Nell’importante pronuncia della Suprema Corte a sezioni unite del 2010 sulla legittimazione dell’amministratore a resistere in giudizio[20] è espresso con forza il principio che l’organo principale depositario del potere decisionale è l’assemblea dei condomini e l’essenza delle funzioni dell’amministratore è imprescindibilmente legata al potere decisionale dell’assemblea.

L’assemblea è quindi il centro decisionale delle gestione condominiale come d’altro canto risulta dalla rubrica dell’art. 1135 c.c. “Attribuzioni dell’assemblea” ove poi, al primo comma, espressamente enuncia: “Oltre a quanto è stabilito dagli articoli precedenti, l’assemblea dei condomini provvede:”.

Nel “sistema condominio” che ha una sua particolare “specificità” la gestione delle cose, impianti e servizi comuni trova forza, legittimazione e valenza giuridica nell’assemblea, parte del “microcosmo” condominio finalizzato a tutelare gli interessi dei singoli.

Dal sistema dell’assemblea, attribuzioni e maggioranze si deve partire per verificare se il “rinnovo” per egual durata dell’amministratore nel suo incarico è automatico, tacito, scalzando l’assemblea da una sua principale attribuzione (art. 1135 n.1 c.c.) ovvero il rinnovo è una conferma ex lege dei poteri che è comunque conforme alla volontà dell’assemblea, seppur espressa con una maggioranza minore di quella prevista dall’art. 1136 4 comma c.c. e permette così quella continuità di gestione e di rappresentanza che ben hanno evidenziato le sentenze della Cassazione sulla prorogatio.

Rinnovo che permette l’agire nei pieni poteri dell’amministratore si baserebbe così su una fonte legislativa (art. 1129, 10 comma c.c.) e non su un proroga tacita.

Le costruzioni basate sulla “proroga tacita” non ci convincono[21].

Così argomentando si verrebbe a svilire, in primo luogo,   quanto disposto dall’art. 1135 n.1) c.c. sulle attribuzioni dell’assemblea e cioè che essa provvede alla “riconferma dell’amministratore e all’eventuale sua retribuzione”.

In secondo luogo, coordinando questa disposizione con il chiaro disposto che l’amministratore “dura in carica un anno” e che l’amministratore deve convocare l’assemblea annualmente per le delibere di cui all’art. 1135 c.c., (art.66 disp. att. c.c., quindi anche sulla sua riconferma) si evince come il senso della nuova norma sul rinnovo dell’incarico sia quello di comunque richiede l’espressione di volontà dell’assemblea e se la maggioranza   dei presenti e almeno la metà del valore dell’edificio non è raggiunta esso è riconfermato nell’incarico ex lege per un altro anno (e così via) e non per proroga tacita.

L’assemblea deve essere   sempre chiamata ad esprimersi sulla nomina.

Il senso, piuttosto, è quello di escludere l’indiscriminato ricorso anche di un solo condomino al Tribunale per la nomina dell’amministratore qualora la delibera non ottenga il quorum previsto dall’art. 1136 4 co. c.c. che è poi lo stesso intento del legislatore che prima di far decidere al Tribunale sulla nomina del rappresentate per gli edifici in supercondominio (art.67 3 co. disp. att. c.c.) diffida i condomini a provvedervi entro un congruo termine.

In conclusione

La tesi che ho cercato qui di dimostrare sul rinnovo si contrappone, allo stato, alla interpretazione, sembra univoca dei primi commentatori che propendono per il rinnovo tacito nell’incarico ad amministrare il condominio e ciò fino a revoca espressa da una maggioranza qualificata. Ovvero esso rimane in carica per due anni e la nomina può essere messa all’ordine del giorno dell’assemblea alla scadenza del secondo anno.

Così facendo, a mio avviso, si stravolge prima di tutto l’impianto originario dell’istituto che non mi sembra mutato, specialmente per la centralità delle attribuzioni dell’assemblea che, per la specificità del condominio, per quel “microcosmo” indicato da Nunzio Izzo, assume e riassume i poteri gestori delle cose, impianti e servizi comuni, qual è anche quello dell’amministratore.

Il legislatore, a mio avviso, con una tecnica di redazione poco corretta e confusionaria ha voluto superare la difficoltà della conferma con le stesso quorum della nomina prevedendo si un quorum minore, ma di comunque sempre espressione di una manifestazione di volontà dei condomini.

Maurizio Voi

[1] Tra parentesi le parti illeggibili dell’ originale ordinanza della Corte che è scritta a mano.

[2] M.Voi: Rinnovo, revoca e dimissioni dell’amministratore, in “Giornata di studio in onore di Nunzio Izzo”, Roma 26 novembre 2014, atti del convegno in Dossier Condominio, n.139, pag.79 e ss, edizione Anaci Roma; consultabile in: http://www.anaciroma.it/images/documento/dossier-139_14-x-sito.pdf

[3] La riforma costringe infatti ad alcune nuove riflessioni: il sostantivo maschile “condominio” che non si trovava negli articoli ante riforma, mentre ora nei nuovi artt. 1129-1130-1130-bis si parla espressamente di condominio che appare un palese riferimento ad esso come ente da gestire. Tra l’altro l’art. 1117-ter intitolato: Modificazioni delle destinazioni d’uso, parla esplicitamente di esigenze di interesse condominiale, mentre il riferimento al conto corrente condominiale e la solidarietà residue per i debiti condominiali potrebbe essere quel tassello mancante quale presupposto per un’autonomia patrimoniale, seppure imperfetta dell’ente. Chiare in tal senso le motivazioni nella ormai famosa sentenza 9148 del 2008 della sezioni unite della Corte di cassazione: “Il condominio, infatti, non è titolare di un patrimonio autonomo, nè di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di uso comune, in effetti, fa capo ai singoli condomini; agli stessi condomini sono ascritte le obbligazioni per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la relativa responsabilità; le obbligazioni contratte nel cosiddetto interesse del condominio non si contraggono in favore di un ente, ma nell’interesse dei singoli partecipanti.”

[4] R. Viganò: Nomina e conferma dell’amministratore condominiale; un vero o falso problema? In I rapporti tra assemblea ed amministratore del condominio, Giuffrè 2005.

[5] Disegno di legge n.71-355-399-1119-1283-B approvato dal Senato della Repubblica il 26 gennaio 2011, in un testo risultante dall’unificazione dei disegni di legge 71,355,399,1119 e 1283.

[6] Disegno di legge poi trasmesso dalla Presidente della Camera dei Deputati alla Presidenza del Senato il 28.9.2012.

[7] In questo studio si omette la seconda parte sulla revoca e dimissioni per restare attinenti al commento dell’ ordinanza della Corte d’Appello di Venezia. Si rimanda quindi per l’intero studio a M.Voi, Rinnovo, revoca e dimissioni..op. cit., nota 2.

[8] G.Branca, Comunione. Condominio negli edifici, Zanichelli, 6 ed. pag. 622 che così riporta: “Il n.1 dell’articolo in esame (art. 1135 c.c. ndr) conferisce all’assemblea il potere di conferma dell’amministratore e tace della nomina e della revoca solo perché, dopo aver rinviato (sull’inizio del I° comma) agli articoli precedenti, non vuole ripetere quanto ha già detto nell’art. 1129 I° e 2° comma”. Dello stesso avviso anche G. Terzago, Il Condominio, Trattato teorico-pratico, Giuffrè, 3 ed. pag.423.

[9] Cass. Civ. Sez. Ii, 29.7.1978 n.3797; Cass. civ. sez. II, 5.1.1980, n.71; Cass. Civ. Sez. II, 4.5.1994 n.4269; la spesso citata Trib. Monza 19.2.1986 in Arch. Loc. e Cond. 1986 p.284 e ss.

[10] Cass. 29.7.1978 n.3797 cit.

[11] In Immobili e Proprietà 9/2009 p.601 -602.

[12] R. Viagnò, Nomina e conferma dell’amministratore, op. cit. pag.32.

[13] Per Cass. 5.1.1980 n.71: “In tema di condominio negli edifici, l’art. 1136 quarto comma cod. civ., sulle maggioranze necessarie al fine della nomina dello amministratore, trova applicazione tanto nel caso di “prima nomina”, quanto in quello di “conferma” dopo la scadenza del mandato annuale, mentre resta irrilevante, in tale seconda ipotesi, la circostanza che l’amministratore medesimo abbia a lungo continuato ad esercitare le sue funzioni, per inerzia dei condomini nel sollecitare detta deliberazione, stante la non configurabilità di un rinnovo dello incarico in forma tacita.

[14] Cass. civ. Sez. II, 30-10-2012, n. 18660; Cass. civ. Sez. II, 27-03-2003, n. 4531 In tema di condominio di edifici, l’istituto della “prorogatio imperii” che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministratore – è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell’opera dell’amministratore, e pertanto non solo nei casi di scadenza del termine di cui all’art. 1129, secondo comma, c.c., o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o di annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina. Ne consegue che in presenza di fabbricato formato da due scale, ciascuna, con un proprio condominio, l’assemblea per la costituzione di un unico condominio dell’intero fabbricato va a tale stregua, nelle more della nomina del relativo amministratore, considerata correttamente convocata dagli amministratori dei due preesistenti condominii, nonostante l’illegittimità della relativa nomina discenda direttamente ed automaticamente dall’illegittima costituzione dell’assemblea che li ha nominati, per illegittimità della costituzione di separati condomini per le due scale di un medesimo fabbricato; né osta al riguardo il dettato di cui all’art. 66, secondo comma, disp. att. c.c., in quanto il potere di convocare l’assemblea da tale norma attribuito a ciascun condomino presuppone la mancanza dell’amministratore, che è ipotesi diversa da quella che si verifica nei casi di cessazione per qualsivoglia causa del mandato dell’amministratore o di illegittimità della sua nomina. Cass. civ. Sez. II, 23-01-2007, n. 1405 L’Istituto della “prorogatio imperii” – che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministratore – è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell’opera dell’amministratore, e pertanto non solo nei casi di scadenza del termine di cui all’art. 1129, secondo comma, cod. civ., o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o di annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina. Ne consegue che l’assemblea può validamente essere convocata dall’amministratore la cui nomina sia stata dichiarata illegittima non ostando al riguardo il dettato di cui all’art. 66, secondo comma, cod. civ., in quanto il potere di convocare l’assemblea, da tale norma attribuito a ciascun condomino, presuppone la mancanza dell’amministratore, che è ipotesi diversa da quella che si verifica nei casi di cessazione per qualsivoglia causa del mandato dell’amministratore o di illegittimità della sua nomina.

[15] Si legge in particolare Cass.25.5.1994 n.5083, ove è scritto: “Ciò premesso, si osserva che il rilievo che l’amministratore possa anche essere nominato con manifestazione di volontà diversa dall’espressa investitura nell’ufficio da parte dell’assemblea non rileva sotto l’aspetto che interessa e che è quello dei rapporti con i terzi, nei cui confronti la nomina del nuovo amministratore che sostituisca il dimissionario, per spiegare efficacia, deve avvenire con una formale deliberazione di nomina del suo successore, nelle forme di cui all’art. 1129/1 c.c, l’unica cioé che possa essere agevolmente e con certezza conosciuta dagli estranei, quando debbano negoziare con il condominio o agire in giudizio nei suoi confronti. Infatti discende dal principio generale della tutela dell’affidamento nei rapporti intersoggettivi che non si possa prescindere dall’emanazione dell’atto formale previsto dalla legge per il conferimento, l’estinzione e la modificazione dei poteri rappresentativi, affinché la sua efficacia possa essere opponibile ai terzi, salvo che non si provi – il che nella specie non è stato nemmeno prospettato – che essi ne fossero a conoscenza.”

[16] Tra gli interventi più importanti: Cass. civ. sez. II, 7.7.2000 n.9096; Cass. civ. Sez. Unite, 31-01-2006, n. 2046; Cass. civ. sez. un. 8.4.2008 n.9148.

[17] R. Girino: Digesto delle discipline privatistiche, 1988, voce Condominio negli edifici; Il condominio negli edifici, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Resigno, 8, Proprietà, Tomo secondo. R. Viganò Condominio negli edifici; Il condominio negli edifici, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Resigno, 8, Proprietà, tomo secondo, seconda edizione.

[18] N. Izzo, Parziarietà delle obbligazioni contrattuali del condominio: prime applicazioni, qualche disapplicazione e un probabile contrasto con il diritto vivente, in Giust.Civ., 2009, I, 1831 .

[19] R.Girino e R. Viganò, op. cit., nota 14

[20] Cass. civ. sez. un., 6.8.2010 n.18331.

[21] Contra: S.Fogliani, Rinnovo tacito per l’amministratore, in Il Sole 24h, del 20.3.2013, per il quale la norma pur prevedendo comunque l’incarico annuale, intende che ll è rinnovo tacito. “Salvo che i condomini manifestino una volontà contraria a tale rinnovo. In sostanza se l’assemblea condominiale non approvi una delibera di “diniego di rinnovazione” (mutuando l’espressione dalla normativa delle locazioni). Nel fascicolo, Documenti24, La Riforma del Condominio: la sintesi delle novità e tutti i testi, a cura di Mauro Meazza, Il Sole 24 ore 21.11.2012, pag.11 è apoditticamente riportato che “l’amministratore resterà in carica senza la necessità di riconfermarlo ogni anno”. A. Scarpa, in L’Amministratore, speciale condominio, Dicembre 2013, pag.15: “Avendo abbandonato nel corso del lavori parlamentari la soluzione che avrebbe portato al “raddoppio da uno a due anni della durata in carica dell’amministratore” (..), la Riforma del 2012 all’art.1129 comma 10, c.c., stabilisce che rimane ferma la durata comunque annuale dell’incarico di amministratore, sebbene lo stesso, in mancanza di dimissioni da parte di quest’ultimo o di revoca proveniente dall’assemblea, s’intende tacitamente rinnovato, alla scadenza, per un nuovo periodo minimo di legge. Come in ogni contrato di durata (secondo il principio generale espresso negli art. 1597, 1677, 1899 c.c.).”. Dello stesso avviso P.Petrelli, L’amministratore di condominio e le novità introdotte dalla legge di riforma sul condominio n.220 dell’ 11 dicembre 2012, in Giurisprudenza Italiana, 7/2013.

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I poteri del rappresentante nel supercondominio e non solo

delibera-assembleaIl rappresentante dei singoli edifici in condominio interviene all’assemblea del complesso per quanto riguarda la “gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore”.

A parte la facile interpretazione della nomina dell’amministratore che è quello del super condominio o della multiproprietà, per quanto riguarda la “gestione ordinaria”, il termine “gestione” non si rinviene nelle altre norme sul condominio.

Termine moderno che dovrebbe riassumere tutte le ipotesi di conservazione e godimento delle parti comuni, cioè tendenti a preservare l’integrità e a mantenere il valore capitale delle cose, spese utili a permettere ai condomini un più confortevole uso o godimento delle cose comuni e di quelle proprie[1].

Il bello viene ora perché il quarto comma dell’articolo in commento prevede che il rappresentante non può subire condizionamenti o limiti al suo potere e se ci sono, si considerano non apposti e risponde verso i terzi (rappresentati) con le regole del mandato.

Difficile trovare il “bandolo della matassa”.

Il capoverso iniziale del comma 4° è una contraddizione giuridica poiché, andando con ordine:

La rappresentanza è un potere (art.1387 c.c.) che non prevede limiti o condizioni poste dall’interessato ma solo fattispecie di “conflitto di interessi” (art.1394 c.c.), “contratto concluso con se stesso” (art.1395 c.c.), “rappresentanza senza potere” (art.1398 c.c.), per le quali la legge configura particolari conseguenze: annullamento del contratto concluso in conflitto di interessi o con se stesso, risarcimento dei danni del rappresentante nei confronti dei terzi, nel caso di eccesso di potere.

Se il legislatore ha voluto riferirsi ai primi due casi, e non sembra, allora autorizza a pensare che il rappresentante può agire per interessi propri e farsi, per esempio, deliberare un contratto di manutenzione del verde condominiale se è impresa idonea. Il che è contraddittorio.

In questo caso il calcolo delle maggioranze dovrebbe essere fatto in ossequio alla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione che ritiene applicabile alle delibere delle assemblee dei condomini i principi di conflitto di interessi dettati in materia di società di capitali (sent. 18.5.2001 n. 6853, conforme Cass. 22.7.2002 n. 10683)[2].

Ma poiché vi è il riferimento esplicito al “mandato” (..il rappresentante risponde con le regole del mandato..) allora il mandato è finalizzato ad atti giuridici (art.1703 c.c.) per i quali il contratto è stato conferito (art.1708 c.c., sul contenuto del mandato).

E fin qui verrebbe da dire che il rappresentante interviene e delibera per gli “atti giuridici” inerenti alla gestione ordinaria e all’amministratore” scegliendo autonomamente.

Ma riferirsi al mandato esplicitamente vuol dire anche aver la possibilità per i rappresentati di fissare “i limiti del mandato” (art.1711 c.c.), cioè impartire istruzioni.

E allora o i termini “limite o condizione” è diverso del concetto giuridico istruzioni[3], o se si vorranno far coincidere, il rappresentante potrà esprimere la volontà dei rappresentati (suoi condomini) anche in totale dissenso.

Certo che l’assemblea dei singoli edifici dovrebbe tenersi prima dell’assemblea del supercondominio, anche se, la norma, sembra prevedere il contrario.

Il rappresentante “comunica tempestivamente all’amministratore di ciascun condominio l’ordine del giorno e le decisioni assunte dall’assemblea dei rappresentanti dei condominii. L’amministratore riferisce in assemblea”.

Ciò si spiega con il fatto che il rappresentante di ogni singolo condominio è nominato fino a revoca e non dura in carica un’ anno ovvero per la gestione a cui si riferisce la sua nomina?

Ogni interpretazione ha diritto di cittadinanza. Alla Corte di cassazione l’interpretazione.

All’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea”.

Così dispone il quinto comma dell’art.67 disp. att. c.c.

Chiaro il significato poiché la complessità della norma comunque distingue fra amministratore del condominio e del super condominio, prevedendo per quest’ultimo altra figura di rappresentante.

Da qui l’interpretazione rigida che l’amministratore anche del singolo condominio non può essere portatore di delega nell’assemblea del supercondominio.

Il comma però non ci lascia convinti poiché è l’amministratore del condominio che meglio conosce i problemi dei suoi amministrati e delle parti comuni e per la sua professionalità può essere più incisivo e meglio tutelare gli interessi dei singoli in nell’ambito del complesso.

Verona 21 Maggio 2014

Avv. Maurizio Voi Voi & Partners Studio Legale Associato

[1] Così Cass. 3.10.1996 n.8657, ma anche: Cass. 12.1.2007 n.432, spese per la “conservazione della cosa comune che si rendono necessarie a causa della naturale deteriorabilità della stessa e per consentirne l’uso e il godimento e che attengono a lavori periodici indispensabili per mantenere la cosa in efficienza..”.

 

[2] Si legge in Cass. 6853/2001 : “L’ordinamento giuscivilistico, pur riconoscendo al condominio una sia pur limitata personalità giuridica, attribuisce pur tuttavia ad esso potestà e poteri di carattere sostanziale e processuale, desumibili dalla disciplina della sua struttura e dai suoi organi, così che deve ritenersi applicabile, quanto al computo della maggioranza della relativa assemblea, la norma dettata in materia di società, per il conflitto di interessi, con conseguente esclusione dal diritto di voto di tutti quei condomini che, rispetto ad una deliberazione assembleare, si pongano come portatori di interessi propri, in potenziale conflitto con quello del condominio. Ai fini della invalidità della delibera assembleare, peraltro, tale conflitto non è configurabile qualora non sia possibile identificare, in concreto, una sicura divergenza tra ragioni personali che potrebbero concorrere a determinare la volontà dei soci di maggioranza ed interesse istituzionale del condominio”, con ciò chiarendosi che il condomino in conflitto di interessi deve essere escluso dal diritto di voto.

Analogo principio è stato espresso da Cass. 10683/2002 ove, richiamando gli arresti in tema di diritto societario (art. 2373 c.c.), è chiarito espressamente che il condomino deve essere escluso dal calcolo dei millesimi e delle relative carature attribuite al condomino configgente[2].

[3] E quindi l’assemblea può impartire istruzioni al rappresentante su come votare per l’amministratore, il rendiconto, le manutenzioni ecc. ecc..

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VIA LIBERA AGLI ANIMALI NEI CONDOMINI

La presenza di animali negli appartamenti non può essere impedita e vietata dalle clausole del regolamento condominiale.

La recente legge di riforma del condominio ha introdotto all’articolo 1138 cod. civ. il comma “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici” (art. 16 della legge 11.12.2012 n.220).

La norma recepisce i principi che la giurisprudenza, chiamata nella prassi a pronunciarsi sulla legittimità delle clausole del regolamento condominiale che impongono limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, ha elaborato nel tempo proprio con riferimento alla disposizione contenente il divieto di detenzione di animali negli spazi privati, distinguendo l’ipotesi in cui la clausola è contenuta nel regolamento assembleare da quella contenuta nel regolamento contrattuale.

Secondo l’elaborazione giurisprudenziale, difatti, gli ordinari regolamenti condominiali, che a mente dell’art. 1138 comma 4, cod. civ. risultano approvati dall’assemblea dei condomini con il voto non della totalità ma solo, dalla maggioranza dei condomini, non possono contenere clausole implicanti menomazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato comune ad essi individualmente appartenenti in esclusiva. Fra le clausole in questione devono ritenersi incluse quelli recanti il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici, posto che tali disposizioni, nella realtà, incidono, limitandola, sulla facoltà di godimento degli appartamenti.

Dal principio di libertà del singolo condomino di poter godere e disporre come meglio crede della propria proprietà esclusiva deriva che la detenzione degli animali domestici rientra nelle facoltà di godimento del proprietario dell’immobile. Ne consegue che un divieto non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali approvati dalla maggioranza dei partecipanti ma solo in un regolamento contrattuale, dal momento che solo con il consenso unanime è possibile limitare le facoltà comprese nel diritto di proprietà.

Il regolamento condominiale non contrattuale in sostanza non è suscettibile di vincolare la generalità dei comunisti con riferimento a clausole eccedenti i limiti del rispetto dei diritti individuali di ciascun condomino.

Le clausole del regolamento condominale che impongono limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà incidono sui diritti dei condomini, quindi tali disposizioni hanno natura contrattuale, in quanto vanno approvate e possono essere modificate con il consenso unanime dei comproprietari, dovendo necessariamente rinvenirsi nella volontà dei singoli la fonte giustificatrice di atti dispositivi incidenti nella loro sfera giuridica (in tal senso Cass. civ. 15 febbraio 2011, n.3705). Tali disposizioni esorbitano dalle attribuzioni dell’assemblea, alla quale è conferito il potere regolamentare di gestione della cosa comune, provvedendo a disciplinarne l’uso e il godimento.

Il Legislatore con l’introduzione del nuovo comma al novellato articolo 1138 del codice civile ha sancito l’impossibilità di apporre limitazioni, nei regolamenti condominiali, alla possibilità di ospitare animali domestici all’interno degli appartamenti.

Nel primo testo di riforma il divieto riguardava gli “animali da compagnia”(cane e gatto); nella stesura finale del nuovo testo, però, il termine “da compagnia” è stato sostituito con animali “domestici”. Una differenza che potrebbe prestarsi a lunghe discussioni nelle aule di giustizia. Mentre dovrebbe sempre essere possibile vietare la presenza di animali esotici (come ad esempio i serpenti), non è così chiaro l’inquadramento degli animali d’affezione che non sempre sono “domestici” in senso proprio, come criceti, furetti o – in certa misura – conigli.

Ricordiamo comunque che il proprietario dell’animale è responsabile, ai sensi dell’articolo 2052 cod. civ., dei danni cagionati dallo stesso e la sua custodia senza le debite cautele può assumere gli estremi di un comportamento censurabile anche sotto il profilo penale ai sensi dell’articolo 672 c.p.

 

I via libera nei condomini agli “amici a 4 zampe” non è, quindi, così semplice. Salutata come una delle novità rivoluzionarie della riforma, come una vittoria dalle associazioni animaliste, in realtà l’applicazione concreta della norma sugli animali potrebbe risultare più complicata del previsto.

Già all’indomani dell’approvazione della legge, infatti, in molti ne davano un’interpretazione restrittiva per cui il “vietato vietare” varrebbe solo per i regolamenti dei nuovi condomini non potendo il nuovo testo retroattivamente inficiare un accordo contrattuale precedente. Ossia laddove il divieto esiste già non ci sarebbe nulla da fare.

L’accesso degli animali nel condominio, tuttavia, non è fuori da ogni regola. È comunque buona norma rispettare le disposizioni contenute nell’ordinanza del ministero della Salute, entrata in vigore il 23 marzo 2009, che prevede tra l’altro, l’obbligo, per i proprietari dell’animale, di mantenere pulita l’area di passeggio, di utilizzare il guinzaglio in ogni luogo e – nel caso di animali aggressivi – di applicare la museruola. È sempre prevista la responsabilità civile ex articolo 2052 del Codice civile e penale dei proprietari, in caso di danni o lesioni a persone, animali o cose nonché l’obbligo di stipulare, in caso di animali pericolosi, una polizza di assicurazione di responsabilità civile per danni causati da proprio cane contro terzi. Bisogna, infine, rammentare che:
– gli animali non possono essere lasciati liberi di circolare negli spazi comuni senza le dovute cautele sopra indicate;
– i proprietari degli animali debbono comportarsi in modo tale da non ledere o nuocere alla quiete e all’igiene degli altri conviventi dello stabile;
– il condominio, in caso di rumori molesti o di odori sgradevoli per i quali è necessario chiedere la cessazione della turbativa per violazione delle norme sulle immissioni intollerabili ex articolo 844 del Codice civile, può richiedere l’allontanamento dell’animale dall’abitazione in base all’articolo 700 del Codice di procedura civile;
– nel caso di immissioni rumorose è possibile ipotizzare, purché ne sussistano le condizioni, il reato di “disturbo del riposto delle persone” (articolo 659 del Codice civile) (l’elemento essenziale di tale fattispecie di reato è, però, l’idoneità del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone e non già l’effettivo disturbo alle stesse);
– gli animali non possono essere abbandonati per lungo tempo sul balcone o nelle abitazioni perché si potrebbe ipotizzare il reato di “omessa custodia” (articolo 672 del codice penale).

Avv. Ilaria Crivellaro

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La rappresentanza nel supercondominio

mancata-comunicazione-assemblea-di-condominioIl procedimento di convocazione dell’assemblea, valida costituzione e calcolo delle maggioranze poi si complica in caso di supercondominio e non solo.

L’art.67 disp. att. c.c., terzo comma, non specifica il sostantivo “super condominio”, ma si riferisce ai casi “di cui all’art. 1117-bis del codice civile” [1]; quindi vi sono ricompresi non solo i complessi condominiali come ben definiti dalla sentenza Cass. Civ.  7.7.2000 n.9096[2], ma anche gli edifici in multiproprietà poiché come chiarito da Cass.16.3.2010 n.6352 la partecipazione di ciascun comproprietario al godimento dell’unità immobiliare in multiproprietà è riconducibile alla comunione e, limitatamente alle parti ed ai servizi in comune, a tutti i multiproprietari.

Ora il “diabolico” comma prevede che quando nei complessi immobiliari testè indicati i partecipanti sono più di sessanta, ciascun “condominio” (quindi edificio in condominio) deve designare con la maggioranza dei presenti in assemblea e almeno la metà del valore dell’edificio (art.1136 V° co.) il proprio rappresentante.

Se i condomini di ciascun condominio, non vi provvedono, ciascuno di loro è legittimato a rivolgersi al Tribunale affinchè sia l’Autorità Giudiziaria a nominare il rappresentante del proprio condominio.

Quindi, sorta la necessità, accertato che il singolo condominio non ha nominato il rappresentante, vi provvede il Giudice anche, pensiamo, attingendo a nominativi esterni ai comproprietari di quell’edificio ciò poiché nulla è detto.

Ma a mio avviso, tal procedimento, non va confuso con l’assurdità del capoverso che segue perché esso inzia così: “Qualora alcuni dei condominii interessati…”

La norma persevera nella sua diabolica imposizione di regole e prevede un complicato iter nel caso in cui il “rappresentante” manchi per più condominii, il sostantivo è indicato al plurale.

In questo caso l’iter è complesso, enucleando, quasi una condizione di procedibilità per la nomina.

Infatti, nel caso di “condominii” il Tribunale, su ricorso sembra anche solo di uno dei rappresentanti già nominati, prima diffida il condominio (in persona dell’amministratore o tutti i condomini[3], se manca) a provvedervi entro un congruo termine, e solo in caso di disaccordo vi provvede autonomamente.

Viene da pensare allora che, nel caso sia un unico condominio mancate del rappresentante il ricorso al Giudice è immediato e senza “inviti” all’assemblea. Mentre solo nel caso in cui manchi il rappresentante di più complessi, allora si deve prima della nomina ex officio, diffidare i condomini. Rimando alla nota n.5, per un’idea di semplificazione.

 

[1] Cioè nel caso in cui: “più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’art. 1117”.

[2] Cass.7.7.2000 n.9096: “Nel caso di pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale, (cosiddetti “supercondomini”), legati tra loro dalla esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni (quali il viale d’accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, etc.), in rapporto di accessorietà con i fabbricati, si applicano a dette cose, impianti, servizi le norme sul condominio negli edifici, e non quelle sulla comunione in generale”.

[3] Complicazione per complicazione, se manca l’amministratore o perché qui i condomini sono meno di otto, ovvero gli stessi proprietari non hanno trovato la maggioranza, bastava far riferimento all’art.65 disp. att. c.c., che espressamente prevede il caso in cui manca il rappresentante dei condomini, con la nomina di un “curatore speciale”.

Anzi nel caso di mancanza sia nel primo che nel secondo caso senza ingegnarsi in tal labirinto senza usciata, bastava, appunto il riferimento alla norma citata.

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La rappresentanza in assemblea di condominio in caso di comproprietà dell’unità immobiliare.

delibera-assembleaIl secondo comma dell’art.67 disp. att. c.c. dispone che: “Qualora un’unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproproprietari interessati a norma dell’art.1106 c.c.”.

E’ quindi stata modificata la precedente disposizione che invece prevedeva il caso in cui se il rappresentante non era designato dai comproprietari interessati, vi provvedeva il “presidente”, ma senza alcun riferimento a che “presidente” intendesse la norma anche se, per logica deduttiva, doveva intendersi il presidente dell’assemblea dei condomini.
Già nel mio lavoro: “L’amministratore Immobiliare. Formazione ed aggiornamento”, La Tribuna, 2002, p.185-186) nutrivo seri dubbi di costituzionalità sul fatto che il presidente (dell’assemblea dei condomini) potesse decidere chi tra i comproprietari avesse avuto il diritto di rappresentare la comunione.

Ma ora  una parte di dubbi sono stati chiariti, indicando il procedimento di nomina del rappresentante secondo le norme sulla comunione (art.1106 c.c.).

Così ai sensi dell’art. 1106 c.c. con la sola maggioranza delle quote i comproprietari dell’unità immobiliare nomineranno  il rappresentante della comunione.

Il procedimento per arrivare all’assemblea di condominio però si complica non poco poiché la norma in commento dispone solo sulla “rappresentanza” (…hanno diritto ad un solo rappresentante..) ma nulla dice circa i tempi e le modalità di convocazione anche in relazione all’assemblea di condominio.

Infatti non vi è dubbio che, l’amministratore, dovrà, ben calcolare i tempi di convocazione dell’assemblea di condominio dando così modo ai comunisti di convocarsi per decidere il rappresentante che poi dovrà partecipare all’assemblea di condominio.

Quid juris se i comunisti non procedono nella loro assemblea o, comunque, non nominano il loro rappresentante?

E l’amministratore, nel convocare i comunisti deve indicare con esattezza l’ordine del giorno?

Il rappresentante è nominato una sola volta per tutte le assemblee o, per ogni assemblea, si deve procedere alla nomina del rappresentante della comunione?

Se i comunisti non nominano il loro rappresentante, per l’assemblea di condominio, poiché la disposizione prevede che: “questi (cioè i comproprietari)  hanno diritto ad un solo rappresentante nell’assemblea..” si dovrà ritenere che essi non sono rappresentati a meno che, tutti presenti, seduta stante, non nominino il rappresentante.

In tal procedimento potrebbe succedere che uno dei comproprietari, per qualsiasi tipo di ragione, impugni l’assemblea della comunione comunicandolo poi all’amministratore.
In questo caso sorge il dubbio, quasi amletico, se l’assemblea si possa tenere non considerando la partecipazione, come condomino, (quindi risultando assente) dei comproprietari dell’unità in questione.

Ciò poiché la norma dispone che i comproprietari “hanno diritto” potendosi ritenere che ciò voglia significare che lo svolgimento dell’assemblea senza il legittimo rappresentante, comporti una possibile invalidità della stessa, essendo stato negato, appunto il diritto, a parteciparvi.

L’ordine del giorno: è sicuramente da ritenere che l’ordine del giorno dell’assemblea vada comunicato a tutti i comproprietari cosicchè possano discutere e formare la volontà della comunione che poi sarà espressa dal rappresentante.

Ritengo poi che nel rispetto delle norme sul potere di rappresentanza e del mandato, i comunisti possano nominare un loro rappresentate “permanente”, comunicandolo poi per scritto all’amministratore.

Se poi l’indicazione del rappresentante include anche l’elezione di domicilio di tutti i comunisti per le successive assemblee ecco allora che l’amministratore potrà convocare il soggetto indicato dalla comunione per ogni assemblea di condominio.

Verona 21.03.2014                    Avv. Maurizio Voi | Voi & Partners Studio Legale Associato

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Assemblea di condominio e supercondominio: la nuova delega

assemblea_votoAssemblea di condominio e supercondominio.

Deleghe e mandatari

  1.  Il nuovo articolo 67 disp. att. c.c., in generale. 2. La delega scritta e i suoi limiti.
  1. Il nuovo articolo 67 disp. att. c.c., in generale

Il nuovo articolo 67 delle disposizioni di attuazione al codice civile regola, con molta confusione ed incertezze interpretative, l’intervento nell’assemblea di condominio e di supercondominio dei rappresentanti dei condomini.

Al primo comma si richiede finalmente per il rappresentante la “delega scritta”, limitando però il numero delle deleghe personali  a non “più di un quinto dei condomini e del valore dell’edificio”;

Al secondo comma è previsto  che qualora “un’unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea” il quale è designato secondo le regole dell’assemblea per la comunione.

Procedimento complesso è invece previsto dal comma terzo, per la designazione del rappresentante dei singoli condominii costituenti il supercondominio che sono obbligatori quando i “partecipanti sono complessivamente più di sessanta”. In questo caso ogni singola palazzina deve  designare il proprio rappresentante che ha poteri deliberativi solo per la gestione ordinaria e la nomina dell’amministratore dell’intero complesso.

Il rappresentante non può essere limitato o il suo potere condizionato (comma quarto) ed esso risponde secondo le regole del mandato comunicando le decisioni dell’assemblea del complesso all’amministratore della singola palazzina che rappresenta.

Le deleghe all’amministratore sono vietate “per la partecipazione a qualunque assemblea” (comma 5).

I commi sesto e settimo regolano la partecipazione dell’usufruttuario in assemblea il quale vota per “gli affari che attengono all’ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose comuni” , negli altri casi il diritto di partecipazione è del proprietario salve particolari eccezioni ivi indicate.

  1. 2.      La delega scritta e i suoi limiti.

 

Dall’ enciclopedia Treccani delega è “termine usato nella pratica, in luogo di mandato e di procura, per indicare il conferimento di una rappresentanza e l’atto stesso (o, più concretamente, lo scritto) con cui vengono conferiti l’incarico e la capacità di agire in vece propria: dare delega, fare la d. ad altra persona, o ad altro organo; d. verbale, d. scritta, d. notarile; per riscuotere lo stipendio del coniuge, occorre la d. firmata dall’interessato; il capo divisione ha la d. di firmare le circolari dettate dal direttore generale.”

Qui il legislatore usa il termine di uso corrente e non propriamente giuridico “delega” in luogo del corretto termine “procura” ex art.1392 c.c. mentre richiede espressamente che l’atto di conferimento del potere di rappresentanza sia scritto.

La necessità della forma scritta della delega (rectius: procura) è da intendersi ad substantiam cioè quale forma essenziale per legittimare il rappresentante in assemblea in luogo del rappresentato.

Mancando, al momento della verifica del quorum costitutivo, il soggetto anche se legittimato, in altro modo (magari con una telefonata ricevuta dal presidente dell’assemblea), non può essere parte dell’assemblea e l’eventuale sua partecipazione ed espressione di voto è da considerarsi nulla.

Se poi il voto è determinante ai fini della validità della delibera, la mancanza della procura scritta comporterà l’invalidità della stessa per difetto della maggioranza.

La “forma scritta” va ora interpretata anche con la prova tramite documento trasmesso via fax  ovvero tramite posta certificata.

Con il conferimento del potere di rappresentanza tramite la procura (delega) il rappresentato pone in essere una dichiarazione verso l’assemblea dei condomini con la quale autorizza un atto di altro soggetto (rappresentante) di disposizione dei propri diritti, assumendo, in anticipo, su di se le conseguenze che ne deriveranno. Come ha chiarito la Suprema Corte a sezioni unite: “con tale autorizzazione, l’autorizzante immette preventivamente nelle propria sfera, appropriandosene, l’assetto che verrà dato ai propri interessi dal rappresentante nei confronti della controparte” (sent.21.10.2009 n.22234).

La procura ora richiesta “scritta” ha quindi l’effetto della c.d “spendita del nome” cioè di riferire direttamente al rappresentato gli atti giuridici deliberati dall’assemblea e le relative conseguenze, anche negative.[1]

Le modificazioni o le contestazione circa il potere di rappresentanza che sottende alla procura è poi un fatto che riguarda rappresentante e rappresentato.

L’art.1396 c.c. dispone infatti che le modificazioni o la revoca della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei.

Nell’ assemblea di condominio può capitare che ad un soggetto terzo (ma anche ad un altro condomino) venga conferita una procura scritta generale, cioè di rappresentanza per ogni assemblea che il rappresentante poi esibisce ogni volta alla verifica del quorum costitutivo.

Orbene se la procura generale viene revocata o modificata il fatto deve essere portato a conoscenza dei terzi, in questo caso l’assemblea dei condomini, nella persona del Presidente, affinchè se ne tenga conto nella verifica del quorum costitutivo e susseguentemente deliberativo.

Basta una dichiarazione a verbale del rappresentato.

Ciò leggittima a dire, ex art.1396 c.c.,  che il consesso sapeva che al rappresentante è stato revocato il potere di rappresentanza e il suo voto non può essere conteggiato.

Per il fatto che l’articolo in commento richiede la forma scritta della delega, non si dovrebbero porre problemi circa la “rappresentanza senza potere” con riferimento al caso dell’ eccesso di potere ex art.1398 c.c.

In primo luogo perchè è da escludersi la presenza ed il voto del c.d. “falsus procurator” cioè di un soggetto senza procura[2], in secondo luogo poichè se nella procura il rappresentato ha indicato come il rappresentante deve esprimersi su un particolare punto all’ordine del giorno è alla delega che si dovrà fare riferimento per il calcolo delle maggioranze.

Il secondo innesto della riforma riguarda il numero di deleghe che il rappresentante può avere in assemblea.

Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale“.

Nessun problema se i condomini sono 20 o in un numero inferiore a 20; non vi è limite alla delega.

Infatti la disposizione è chiara: “Se i condomini sono più di venti…..”

Viceversa  in un condominio composto da 25 condomini il rappresentante  non può rappresentare più di cinque condomini per un massimo di 200 millesimi.

Ma se solo un condomino ha 200 millesimi? O se 6 condomini non raggiungono i 200 millesimi?

In questo caso, applicando per analogia, il principio della doppia maggioranza per la validità delle delibere  condominiali (intanto una delibera è valida se riporta la maggioranza dei condomini intervenuti e la maggioranza (o metà) del valore dei millesimi), se i due fattori indicati dal legislatore, non coincidono, il rappresentante non potrà comunque essere portatore di quel numero di deleghe la cui somma superi o il valore dell’ edificio o la frazione di un quinto dei soggetti rappresentati.

Avv. Maurizio Voi
Voi & Partners Studio Legale Associato


[1] E’ il caso di una delibera annullabile, per esempio per mancanza di quorum poi impugnata dal dissenziente o assente. In questo caso gli effetti negativi dell’impugnazione (annullamento della delibera e condanna alle spese) ricadranno direttamente sul rappresentato.

[2] A meno che non venga successivamente contestato che la sottoscrizione è falsa, procedimento giudiziario complesso con l’introduzione della querela di falso, e successivamente, l’accertamento della responsabilità del falsus procurator per danni nei confronti del condominio (esempio: non aver potuto eseguire una delibera di conservazione o manutenzione urgente sulle parti comuni, compromettendone il valore). Anche se appare più come un caso di scuola. Poichè il condomino potrebbe ratificare il voto del falso rappresentante e sanare così la procura.

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La revoca dell’amministratore di condominio

revoca-amministratore-condominio La Legge di riforma ha dettagliato le ipotesi di revoca dell’amministratore di condominio.

In particolare il nuovo art. 1129 c.c. distingue distingue le ipotesi di revoca assembleare da quelle di revoca “giudiziale”:

Revoca “Assembleare”: il nuovo articolo 1129, comma 11, prevede che la revoca dell’amministratore può essere deliberata in ogni tempo dall’assemblea, con la maggioranza prevista per la sua nomina – cioè maggioranza dei presenti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio –  oppure con le diverse modalità eventualmente previste dal regolamento di condominio.

Se l’assemblea non raggiunge i predetti quorum l’amministratore non può dirsi validamente revocato.

Va chiarito che la nomina di un nuovo amministratore nel rispetto delle maggioranze predette, comporta di per sé l’implicita revoca dell’amministratore uscente.

Revoca “giudiziale”: molto più dettagliate sono ora le ipotesi in cui su ricorso anche di un singolo condomino, la revoca può essere disposta dall’autorità giudiziaria:

Sono ora motivo di revoca le seguenti fattispecie:

1)      Qualora non abbia notiziato “senza indugio” l’assemblea di eventuali citazioni/azioni di terzi o provvedimento dell’autorità amministrativa (art. 1131 IV comma c.c.);

2)      Se non ha reso il conto della gestione annuale previsto dall’art. 1130 I comma n. 10 c.c.; (art. 1129, XI comma, c.c.);

3)      Nei casi in cui siano emerse gravi irregolarità fiscali o di non ottemperanza a quanto disposto dal numero 3) del dodicesimo comma dello stesso articolo 1129 (mancata apertura ed utilizzazione del conto intestato al condominio), i condomini, anche singolarmente, possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione e revocare il mandato all’amministratore. In caso di mancata revoca da parte dell’assemblea, ciascun condomino può rivolgersi all’autorità giudiziaria. Nel caso di accoglimento della domanda, il ricorrente, per le spese legali, ha titolo alla rivalsa nei confronti del condominio, che a sua volta può rivalersi nei confronti dell’amministratore revocato.

4)      In caso di gravi irregolarità come di seguito indicate;

L’art. 1129, XII comma c.c. elenca in maniera solo esemplificativa ma non tassativa né esaustiva, quali fattispecie possono essere considerate “gravi irregolarità”:

1) l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale, il ripetuto rifiuto di convocare l’assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge;

2) la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi, nonché di deliberazioni dell’assemblea;

3) la mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente postale o bancario, intestato al condominio;

4) la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomini;

5) l’aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio;

6) qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l’aver omesso di curare diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva;

7) l’inottemperanza agli obblighi di cui all’articolo 1130 c.c. n. 6) 7) e 9) e cioè : tenuta del registro dell’anagrafe condominiale, registri dei verbali delle assemblee, di nomina e revoca dell’amministratore, nonché di contabilità, comunicazione al condomino che ne faccia richiesta dello stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso;

8) l’omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui all’art. 1129, II comma c.c. (cioè i dati anagrafici, professionali, etc.). Si ricorda che tale comunicazione va fatta sia al momento dell’accettazione della nomina sia ad ogni rinnovo dell’incarico.

Verona, 20 Febbraio 2014

Avv. Matteo Carcereri

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Condominio e Fallimento: il recupero delle spese condominiali contro il condomino fallito

fallimentoIn condominio si può verificare il caso che l’amministratore apprenda che il condomino debitore sia stato dichiarato fallito ciò comporta il dovere dell’amministratore di insinuarsi nel passivo del fallimento con un’ apposita domanda che richiede precise modalità e tempistiche.

Istanza di insinuazione al passivi per i crediti sorti prima del fallimento.

Se il fallimento del condomino moroso è già stato dichiarato, il condominio dovrà presentare un’istanza di insinuazione al passivo del fallimento secondo quanto disposto dall’art.93 della Legge Fallimentare chiedendo al Giudice (Giudice Delegato) di partecipare, con gli altri creditori, all’eventuale attivo del fallimento.

L’istanza di “insinuazione al passivo” può  essere “tempestiva” ovvero “tardiva”; nel primo caso l’istanza deve essere presentata al Tribunale Fallimentare entro trenta giorni prima dell’udienza fissata per l’esame dello stato passivo. Nel secondo caso la domanda dovrà essere depositata nella cancelleria del Tribunale entro 12 mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo.

Il ricorso può essere sottoscritto anche personalmente dalla parte, senza la necessità di un avvocato, e deve essere trasmesso all’indirizzo di posta elettronica certificata del “curatore”.

Esso deve contenere:1) l’indicazione del numero della procedura fallimentare e i dati identificativi del condominio e dell’amministratore; 2) l’esatta indicazione della somma che si chiede venga ammessa al passivo del fallimento (c.d. insinuazione), se è un bene la sua descrizione e la domanda di rivendicazione; 3) la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto a sostegno della domanda;4) l’eventuale indicazione del titolo di prelazione (ipoteca o pegno immobiliare) e sua descrizione; 5) l’indirizzo di posta elettronica certificata (pec) per ricevere tutte le comunicazioni della procedura.
Per l’insinuazione al passivo non è però necessario che il condominio sia in possesso di un titolo esecutivo, cioè un decreto ingiuntivo.

Ai sensi dell’art. 111 bis della Legge Fallimentare le spese (oneri) condominiali sono considerate “crediti prededucibili” cioè importi che vengono soddisfatti con preferenza per capitale, spese ed interessi, con il ricavato della liquidazione del patrimonio del fallito ed anche al di fuori del procedimento di riparto quando: 1) sono sorte durante la procedura;  2) sono liquidi, esigibili e non contestati; 3) se l’attivo è sufficiente a soddisfare tutti i crediti prededucibili.

Avv. Maurizio Voi
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LA NUOVA DISCIPLINA DEL SOTTOTETTO A SEGUITO DELLA RIFORMA

La nuova formulazione dell’art. 1117 c.c., al punto 2,  annovera tra le parti comuni di un edificio anche  i sottotetti precisando però che tali locali sono di proprietà comune solo se non risulta il contrario dal titolo e se, per le loro caratteristiche funzionali e strutturali, sono destinati ad un uso a vantaggio di tutti i condomini. Quindi la natura del sottotetto continua a determinarsi principalmente in base al titolo (per titolo si intende l’atto di acquisto o il regolamento contrattuale ad esso allegato e trascritto in conservatoria)  e solo in mancanza di qualsivoglia indicazione in tali atti può ritenersi comune se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato anche solo potenzialmente all’uso comune o all’esercizio di un servizio comune. Di conseguenza, se il sottotetto è costituito da un vano destinato esclusivamente a servire da protezione/isolamento dell’appartamento dell’ultimo piano, esso deve essere considerato pertinenza di quest’ultimo e dunque di proprietà esclusiva del relativo proprietario.
È il tipico caso del sottotetto con la pavimentazione formata da tavolati di legno, con altezza minima e privo di prese d’aria. Lo stesso vale per spazi magari più alti, ma senza alcun ingresso dalle parti comuni e ai quali è possibile accedere solo dai sottostanti appartamenti, attraverso la creazione di apposita apertura.
Se così conformati e salvo diverso titolo, essi sono di proprietà esclusiva del condomino dell’unità sita all’ultimo piano dell’edificio. Se invece si tratta di vano utilizzabile per gli usi comuni rientra ora a pieno titolo tra le parti comuni, perché in tal caso trova applicazione la nuova presunzione di comunione prevista espressamente dal novellato art. 1117, n. 2 c.c.. In concreto, la proprietà esclusiva del sottotetto è da escludere in tutti i casi in cui è possibile facilmente entrarvi solo da un ingresso sito sulle scale comuni oppure ivi sono collocati impianti condominiali. Il legislatore della Riforma, nell’includere i sottotetti tra i beni comuni “facoltativi”, ha inteso formalmente recepire il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui, se il titolo di acquisto o il regolamento non dispone diversamente, essi sono di proprietà comune, in considerazione però della loro ampiezza, della loro praticabilità e, soprattutto, della loro funzione a cui possono essere anche in via potenziale destinati. Pertanto, per stabilire la natura del sottotetto di un edificio, occorre ancora in primo luogo far riferimento ai titoli (atti di acquisto, regolamento contrattuale) e solo in difetto di questi ultimi, si potrà ritenerlo comune qualora risulti, in concreto o in via potenziale per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune. Avv. Ilaria Crivellaro

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